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Dallo Psicologo? Ci vanno solo i matti!

giovedì 18 gennaio 2018 - 09:01

Dott.ssa Mariarosaria Rosato e Dott.ssa Ilaria Visone

 

A quanti è capitato di sentire questa frase? Non si deve necessariamente far parte dell'ambito clinico per ascoltarla, ma è solo uno dei tanti pregiudizi che ruotano attorno alla figura dello psicologo.
Lo psicologo viene talvolta visto come una sorta di figura misteriosa e lontana dal proprio mondo perché: "Io non sono pazzo, sono normale!".


Ma chi sono "i pazzi"?
Partiamo col dire che la normalità può essere considerata un concetto relativo, una sorta di etichetta imposta dalla società, ma che non ha valenza scientifica. Siamo abituati a giudicare come "pazzo" chiunque non rispecchi i canoni imposti dalla nostra società e cultura, chiunque faccia o dica cose che noi non sentiamo come appartenenti al nostro mondo, in questo modo spostiamo i problemi al di fuori di noi, "Loro sono pazzi e devono farsi curare, io sto bene".
Questo ed altri pregiudizi fanno sì che prima di giungere nello studio di uno psicologo le persone tentino le strade più disparate per far fronte al proprio malessere, procrastinando il più a lungo possibile. Tale comportamento non fa altro che aggravare le difficoltà e fa sì che le persone giungano in terapia quando si sentono ormai stremate.

 

Quali sono le resistenze più comuni?
La persona che si rende conto di soffrire, magari si trova in uno stato di ansia o depressione, spesso tende a sottovalutare l'importanza del problema. Crede di poter proseguire con la sua vita, i suoi impegni stringendo i denti, a lungo andare questa fatica, però, si riflette in tutti gli ambiti della vita da quella lavorativa a quella affettiva e personale. Il "fardello" che la persona trascina dietro sé gli toglie energie da dedicare a fare il meglio, per sé stesso e per gli altri.
In primo luogo, si fa spazio il preconcetto secondo il quale "la psicologia è per i matti": questo accade perché la nostra cultura è ancora segnata da pregiudizi circa la salute e il benessere mentale e la persona teme di essere giudicata negativamente da quanti intorno a lei possano venire a conoscenza del fatto che sia in terapia. Si dovrebbe al contrario, sottolineare quanto la persona che sceglie di prendersi cura di sé sia non solo coraggiosa ma anche capace di voler migliorare la sua condizione di vita e migliorarsi.
Un altro "scoglio" che le persone devono superare per avvicinarsi alla professione di psicologo, è quello secondo cui "la terapia è una cosa da ricchi, non me la posso permettere": l'aspetto economico fa parte senza dubbio di un piano reale che non va sottovalutato, d'altro canto è al pari vero che le prestazioni psicologiche e psicoterapeutiche non hanno costi così diversi da quelle di altre prestazioni in ambito sanitario, e come tale motivazione possa anche celare aspetti di resistenza che hanno a che fare con processi più complessi del "costo in sé".


Il preconcetto che fa leva sull'orgoglio della persona e che limita le possibilità è quello del "voglio farcela da solo": spesso infatti si potrebbe pensare che chi chiede aiuto possa essere un "debole", uno che ha poca forza di volontà. Al contrario, la persona che si reca dallo psicologo riconosce i suoi limiti e prova a superare le sue difficoltà intraprendendo un viaggio dentro di sé, in cui il professionista lo accompagna facilitando il processo di autorealizzazione ed il raggiungimento di una migliore condizione di benessere soggettivo.


Poi vi sono i pregiudizi che fanno riferimento al terapeuta stesso, si teme di poter essere vittima di un "lavaggio del cervello" e/o di "raccontare i propri fatti ad uno sconosciuto". A tale proposito, ricordiamo come ogni psicologo è tenuto a conoscere ed applicare le norme contenute nel Codice Deontologico, il riferimento in questo caso è all'articolo n. 11 che regolamenta il segreto professionale e, secondo il quale, ciò che viene detto nello studio del professionista non può uscire da quel luogo, pena l'essere radiato dall'Albo professionale.


Si vuole, inoltre, evidenziare come molti di questi preconcetti, paure e mistificazioni della figura dello psicologo, o comunque della psicologia in generale, siano frutto della scarsa informazione che è presente nel sistema sanitario nazionale, così come tra le figure di professionisti che si occupano della salute psicofisica, che spesso non conoscono alcuni disturbi, li sottovalutano o non sanno a chi rivolgersi, per affrontare le problematiche psicologiche. La scarsa informazione e la disinformazione, fenomeno ancor più preoccupante, viene portata avanti anche dai principali media come film, televisione e letteratura che hanno contribuito a creare nell'immaginario collettivo figure di psicologi "strizzacervelli", dediti solo al guadagno e alla manipolazione della mente altrui.


Infine si riscontra, soprattutto negli ultimi anni, una diffusione di informazioni attraverso i social ed internet, questo fenomeno ha dei pro e dei contro da considerare. Tra i pro c'è la maggior diffusione e condivisione di tematiche a sfondo psicologico e ciò rende "meno spaventoso" il chiedere un sostegno per il proprio malessere. Tra i contro c'è che ciò talvolta porta le persone ad affidarsi a figure che magari forniscono risposte troppo brevi ed immediate, consigli e supporto rispetto a problematiche che necessiterebbero di un setting adeguato di cura, ciò potrebbe rappresentare un'altra modalità di evitamento della relazione "vis a vis" , con tutte le implicazioni che ne possono derivare in termini di coinvolgimento e posizionamento rispetto a sé, alle proprie difficoltà ed all'altro a cui ci si rivolge.

 

 

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