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Nascondersi per Esistere: chi sono gli Hikikomori.

venerdì 28 giugno 2019 - 09:57

A cura della Dott.ssa Silvia Del Buono

 

Nell'ultimo decennio abbiamo sentito spesso utilizzare, dai professionisti che si occupano di adolescenti, un termine fino a poco fa del tutto sconosciuto, preso in prestito dalla lingua giapponese, che si riferisce ad un fenomeno che si sta diffondendo in modo sempre più preoccupante.
Il primo ad utilizzare il termine HIKIKOMORI fu Tamaki Saito, psichiatra giapponese che negli anni Ottanta diede per la prima volta una definizione al numero sempre crescente di adolescenti giapponesi che vivevano reclusi nella loro casa o nella loro stanza e senza alcun contatto con l'esterno, né con i familiari né con gli amici. Egli li definì con precisione SHAKAITEKI (che significa società) HIKIKOMORI (termine composto dalle parole hiku "tirare" e komoru "ritirarsi"), quindi "coloro che si ritirano dalla società".

 

Hikikomori: di cosa si tratta

 

La diffusione del fenomeno in Giappone ha avuto luogo dalla metà degli anni Ottanta, con un incremento sostanziale verso la fine degli anni Novanta, mentre in Italia non si è sentito parlare degli Hikikomori fino al 2008, anno in cui Carla Ricci, antropologa italiana residente a Tokyo e massima esperta mondiale del tema, pubblica il testo "Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione". Di questo disagio, che riguarda principalmente giovani tra i 14 ed il 30 anni di sesso prevalentemente maschile (il rapporto tra uomini e donne è di 4 a 1, ma anche i casi di giovani donne colpite sembrano essere in aumento), in Giappone è possibile contare oltre 500.000 casi accertati, ma il numero sembrerebbe sottostimato e si potrebbe parlare anche dell'1% dell'intera popolazione nipponica. Anche in Italia l'attenzione nei confronti del fenomeno è in aumento, poiché viene ormai considerato un disagio sociale che può riguardare tutti i paesi economicamente sviluppati e non più una sindrome culturale esclusivamente giapponese. L'associazione italiana Hikikomori stima la presenza di circa 100 mila casi nel nostro paese.

 

Le modalità in cui i giovani Hikikomori esprimono il loro ritiro sociale può differenziarsi notevolmente a seconda dei singoli casi: alcuni rifiutano categoricamente di uscire dalla propria stanza e si nutrono attraverso cibo consegnato in un vassoio dai familiari, altri invece condividono i momenti conviviali con gli altri componenti della famiglia ma attuano un ritiro ostinato verso il mondo esterno. Coloro che vivono da soli, senza altre relazioni familiari, spesso escono durante le ore notturne per procurarsi il cibo o quanto di necessario alla sopravvivenza, per altri ancora il fenomeno si manifesta in forme ibride.

 

Secondo quanto indicato in letteratura, esisterebbero almeno due tipologie di Hikikomori: quello "primario", ovvero uno stato di isolamento indipendente da patologie mentali, e quello "secondario", ovvero un isolamento sopraggiunto come esito di una psicopatologia di altra natura.
La sociologa francese Maïa Fansten, che da anni si occupa di isolamento sociale, ha invece provato a proporre una ulteriore classificazione delle diverse tipologie di ritiro sociale, in assenza di psicopatologia:
- Ritiro Alternativo, inteso come un modo per ribellarsi alle dinamiche tipiche della società attuale, vissuta come un'entità opprimente che limita la liberta personale dell'adolescente;
- Ritiro Reazionale, definito come una reazione di tipo sintomatico a situazioni di grandi difficoltà familiari o eventi traumatici specifici;
- Ritiro Dimissionario, messo in atto da coloro che non riescono a sostenere le pressioni di realizzazione sociale derivanti dalle aspettative dei genitori o del contesto di appartenenza;
- Ritiro "a crisalide", definito come "una sospensione del tempo che esprime un'impossibilità di essere un individuo adulto autonomo", in cui l'adolescente cerca una fuga dalle responsabilità e dalle incombenze dell'età adulta.
Come sostenuto dall'antropologa Carla Ricci, pur non essendo inserito in nessuna classificazione nosografica, l'Hikikomori non è di per sé una malattia, ma "genera malattia". Esistono infatti numerosissime conseguenze sintomatiche che colpiscono coloro che ne soffrono: tra queste troviamo l'inversione del ritmo circadiano, letargia (talvolta causata da abuso di sonniferi), apatia, suscettibilità e facile irritabilità, oltre a comportare altre sindromi in comorbilità, quali disturbi del comportamento alimentare, disturbi ossessivo – compulsivi, fobia scolare e/o sociale e depressione.

 

 

 

 

Cause del ritiro sociale: la sfida dell'adolescenza

 

Il ritiro sociale caratteristico degli Hikikomori nasce senz'altro da una profonda sofferenza, che si radica nella fase adolescenziale, di svincolo dai legami familiari e di passaggio all'età adulta, ed in tutte le conseguenze che questa delicata transizione comporta. Gli Hikikomori sono giovani spesso molto intelligenti, ma particolarmente introversi e sensibili, che hanno una visione particolarmente negativa della società, soffrendo in particolare delle pressioni di realizzazione sociale, dalle quali tentano di fuggire. Un sistema culturale in cui sembra non esserci spazio per la fragilità, per il fallimento e per i sentimenti di inadeguatezza tipici della fase adolescenziale, costringe questi giovani, che affrontano la sfida evolutiva di definizione della propria identità, a rifiutare la competizione sociale attraverso il ritiro.
Lo psicoanalista francese Tisseròn definisce il fenomeno, in assenza di patologia mentale, come una disarticolazione psichica seguita da una disarticolazione sociale. Con la disarticolazione psichica, l'adolescente esprime il suo rifiuto verso il mondo, disconnettendo le aspettative che egli ne ha da ciò che percepisce e, allo stesso tempo, ciò che gli altri pensano di lui da ciò che crede di essere. Di conseguenza, non sentendosi obbligato a realizzare le aspettative degli altri su di sé, l'Hikikomori si ritira dalle forme di socialità in cui le aspettative sono centrali, ad incominciare dalla scolarizzazione, fino ad arrivare a qualsiasi contatto sociale.

 

Questo fenomeno, se inteso attraverso questa lettura, non ha necessariamente a che fare con i mondi digitali, ma nella maggior parte dei casi il disinvestimento dal mondo concreto genera un rifugio nel mondo virtuale, per proteggersi dal crollo drammatico delle proprie aspettative sul mondo. Nei casi più drammatici di ritiro sociale, in realtà, i giovani non riescono ad avere accesso a processi relazionali e di simbolizzazione neanche all'interno di un mondo virtuale, se non in completo isolamento.

 

In che modo trattare il ritiro sociale?

 

Per questa ragione è importante non demonizzare il mondo virtuale, comprendere la funzione di sostegno che ha per questi adolescenti e pensare di utilizzarlo come risorsa per il lavoro terapeutico. Obiettivo dello psicologo non deve quindi essere l'allontanamento dal mondo virtuale o l'adozione di protocolli terapeutici stabiliti, ma quello di assumere un atteggiamento consapevole in relazione alla complessità di questo tipo di fenomeno.
Come sostenuto da Matteo Lancini, psicoterapeuta e autore di numerose pubblicazioni sul tema, il primo passo deve essere quello di allearsi con il sintomo, analizzando le scelte virtuali operate da questi giovani, utilizzando proprio il mondo online come la prima chiave di accesso al trattamento. In secondo luogo, è necessario coinvolgere l'intero contesto familiare ed i genitori, in particolare se responsabilizzati nel loro ruolo affettivo, comunque rispettando le difese del ragazzo, attraverso l'home visiting e la mediazione continua con l'adolescente. È importante inoltre tenere presente l'episodio precipitante del ritiro sociale, per come esso si colloca nella mente del ragazzo, per poterlo trattare e rielaborare. In termini operativi, tra gli obiettivi è possibile porsi quello di trasformare gli amici virtuali, quando presenti, in amici reali, con lo scopo di studiare nuove forme di incontri virtuali ed in un secondo momento creare occasioni di aggregazione faccia a faccia e, non ultimo, quello di sostenere il ragazzo nella progettualità a breve termine, in particolare se relativa alla conclusione del percorso scolastico. Tutto ciò è raggiungibile grazie ad un lavoro di equipe che assolva molteplici funzioni, in cui allo psicologo si possano affiancare educatori o figure di accompagnamento adulto o, qualora necessario, professionisti medici che possano effettuare trattamenti farmacologici.

 

Il problema degli Hikikomori è senz'altro di recente insorgenza, è una questione complessa e non esauribile in poche righe, pertanto sarebbe necessario approfondire ancora numerosi aspetti. Non esistono criteri diagnostici o prassi terapeutiche oggettive e definibili a priori in merito al tema e, per questa ragione, l'obiettivo centrale è quello di capire, prima ancora di curare, promuovere la sensibilizzazione e la riflessione critica sul fenomeno, affinché la società sia preparata ad affrontarlo adottando un atteggiamento non stigmatizzante e giudicante.

 

 

 

 

 

*Le immagini contenute nell'articolo sono tratte da un progetto fotografico dal titolo "100 days of Solitude" di Nida a Badwan, artista palestinese, che si è rinchiusa volontariamente per oltre venti mesi, in seguito all'aggressione subita da parte di alcuni miliziani di Hamas, che l'avevano fermata contestandole il mancato utilizzo del velo. In un'intervista al New York Times, parlando dei suoi giorni di reclusione ha dichiarato: "Questo spazio mi ha dato la libertà che fuori non potevo trovare. Libertà dal grigiore e dalla bruttezza, dalle imposizioni della società".

 

 

Bibliografia

 

Lancini M., "Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti", Mondadori, 2017
Lancini M., "Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa", Raffaello Cortina, 2019
Ricci C., "Hikikomori: Adolescenti in volontaria reclusione", Franco Angeli, 2008
Sagliocco G., "Hikikomori e adolescenza. Fenomenologia dell'autoreclusione", Mimesis edizioni, 2010
Tamaki Saito, "Hikikomori: Adolescence Without End", University of Minnesota Press, 2013
Tisseron S., "Il virtuale psichico e le sue insidie: hikikomori e relazione d'oggetto virtuale", Rivista Funzione Gamma (n. 38/2017 - https://www.funzionegamma.it/il-virtuale-psichico-e-le-sue-insidie-hikikomori-e-relazione-doggetto-virtuale/) 

 

Sito dell' Associazione Italiana Hikikomori - Hikikomoriitalia
Nida a Badwan, "100 Days of Solitude" (trad. it. 100 Giorni di Solitudine

 

Interventi tratti dal Convegno "Viaggiatori immobili: Hikikomori e dintorni" del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Napoli 1 Centro, Napoli, 25/06/2019 (a cura di Boursier V., Lancini M., Sagliocco G.)

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